lunedì 23 novembre 2009




Centro Suolo, via G. B. Morgagni 35, Milano, inaugurato il 1° febbraio 1969

Il Centro “per la ricerca e la diffusione della poesia avanzata” visse tre anni per volontà di Ugo Carrega, Tomaso Kemeny, Raffaele Perrotta, Antonio Agriesti, Alfonso Galasso, Giustino Gasbarri e Michele Marangoni. Tra le altre azioni vi è stato organizzato un “Omaggio a Ezra Pound”(30 ottobre - 10 novembre 1969) in ricorrenza dell’84mo compleanno (esposizione opere, con la collaborazione di Vanni Scheiwiller, iconografie, audizione Cantos letti da E.P., proiezione di documentari). In un momento in cui occuparsi di poesia veniva percepito come attività patetica, simile alla raccolta di cartoline obsolete, il Centro, in sintonia con centri similari a Brescia (Centro “la comune”), Firenze (Centro “téchne”), Roma (Centro “uscita”), New York (“Place for something else”), Parigi (“agentzia”), si sforzò a diffondere una cultura “nuova, anzi antica” in prospettiva della poesia. Si ricorda una serie di 6 slogan:
a noi interessa che qui al nostro centro si parli e che si possa parlare liberamente di poesia;
a noi interessa stimolare l’interesse verso la poesia;
a noi interessa che i problemi della realtà vengano fuori dalla poesia;
a noi interessa stimolare alla lettura, alla visione, alla audizione, alla creazione di poesia;
a noi interessa allargare l’idea stessa di poesia;
a noi interessa fare sapere che la poesia non è morta.

Qui si pensava che l’editoria autogestita (clandestina) fosse l’unica forma di circolazione libera ed autentica. Ugo Carrega da tempo gestiva le edizioni tool, edizioni per la diffusione della poesia simbiotica, visuale e avanzata; mentre dal febbraio del 1969 si ebbero le edizioni periplo per iniziativa di Raffale Perrotta. Qui il 1° maggio del 1970 si dedicò una serata alla Fame nel Mondo; nell’occasione i magnifici 7 del Centro Suolo si sedettero a una tavola pantagruelescamente imbandita, e divorarono 20 portate succulente, innaffiate con vini selezionati, lasciando a digiuno e a gola secca il pubblico convenuto per significare l’ipocrisia criminale celata dietro istituzioni tardo colonialiste. La delicata provocazione fu dedicata a 20 tipi di ipocriti “agli ipocriti fatali, agli ipocriti da torchio, agli ipocriti babbei, agli ipocriti indefessi, agli ipocriti bolscevichi, agli ipocriti borghesi, agli ipocriti papisti e riformati, agli ipocriti da rebus, agli ipocriti epatici, agli ipocriti da panico, agli ipocriti padronali, agli ipocriti talmudici, agli ipocriti eroici, agli ipocriti aulici, agli ipocriti esemplari, agli ipocriti predestinati, agli ipocriti da Conclave, agli ipocriti volgari, agli ipocriti predoni, nonché agli ipocriti da Festival dei Popoli”.


Da Suspense extensive o intensive (il periplo, Milano, 1969):

“Il mare davanti a me, perché dirlo?
La spuma passa sui ciottoli che germogliano
nel vento. So che ostento
l’aria di chi viene da lontano
o che torna dove nessuno lo ricorda.
Non ho un dialetto da spartire con te, amico,
solo questa bottiglia di birra e allora dico che questo mare
-il vapore dell’alba lo inzucchera-
è la pianura col vento che fischia nei comignoli
negati dal beccheggio di quella nave,
ma le onde riflettono
la chimera d’oro nei campi di grano.
Ho paura di morire come questo ratto schiacciato
da un autotreno, come questo uccello
senza nome che cercava la primavera,
perché solo la velocità sembra che conti,
la mia lingua,
la mia origine, tutto ciò non ha un significato.
-C’è rimasto così tanto da amare,
il fuoco scoppietta e fascia il profumo dei pini nevosi.
Col dizionario internazionale in tasca, dico
in tutte queste lingue indoeuropee
i ciottoli e le conchiglie,
vicine tempeste di neve mi coprono la fronte.
Su una roccia boccheggia un pesce,
nella mia testa urta contro le strette
pareti dell’acquario,
le scaglie del mare mi abbagliano dietro gli
occhiali da sole,
da mille anni boccheggia e non riesce a morire.”



Quando (composto alla morte di André Breton, il 28, IX, 1966, edizioni tool, Milano, 1970):
Versi scritti alla morte di André Breton

…scavando nel marmo
alcune sillabe e i loro faz
zoletti d’oltretomba per latrare
che è tutto finito ma siccome
mento ne vedremo ancora delle belle
indosso il tuo segreto sbocciato
nell’eden senza divieti della scrit
PAROLE INCAUTE REGISTRATE NEL VERBALE
tura automatica (si distenebra
il tuo nome in decomposizione
nel vortice delle continue meta
morfosi) ti si attorciglia al collo
come cravatta funebre
maldestro
pirata
e tu sventoli ancora il seme
surreale in tutti i suoi arco
baleni
principe paria rovina
to a rate
le radici delle tue
vene s’inargentano nella favola
inarrestabile delle generazioni
rincasano dalla polvere le tuemani bionde nella carezza della
magia totale
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nelle foglie sicure da ogni fischio nessuno vuole più essere (diventare) un Autore
si pubblica per cercare nella scintilla l’uomo e la donna che si incontrino nell’eden
gli occhi incendiati dall’estate
nella nostra bocca il mistero si caria
ricopro il mio corpo di erba e di spinaci
e dal pus si leva il geranio che corroderà le bandiere
colorate
alzandole nel nero
del rischio inutile
(l’uso delle parentesi permetterà forse di mitigare lo slancio fiducioso verso le affermazioni più euforiche)
io sono il vegetale delirante che addita l’Abitudine come il figlio degenere della Responsabilità
mai abbastanza crocifissa nella fraction collective du langage

ogni atto
costerà più caro della vita
ogni attimo
ha come posta l’esistenza intera

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e avere come radice la voglia di cambiare la nostra vita da oggi stesso
cambiare questa pallina di moccio
e non volere cambiare ORA
significa essere nella cerchia delle burocrazie necrofile

“Chi cancellerà le caricature perverse dei rivoluzionari bestiali?”

(produttori di poesie su scatole di fiammiferi e su conserve di pelati
sorbiranno i nostri cervelli con cannucce
e noi in cambio nasconderemo le nostre vecchie abitudini criminali)
quasi meglio essere dei
vermissaux rampants sur la terre
(dei Swedenborgh
dei William Blake)

L’ALDIQUA esige il rito dell’esplosione totale:
il nostro corpo è il nostro castello

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unica misura la terra che ci contiene
sulle palme pesanti croci di mosch
ee e fumosi vichinghi là l’Oceano è p
uro come la mano di André come farò a
dimenticare il suono della sua voce co
me farò a parlargli quando vorrò (?) le
domande sono giuochi di spade che tag
liano la gola all’eroe/antieroe che v
orrebbe uscire dalla conchiglia per e
ntrare nella storia sui tavolini dei bar
battono i denti i bicchieri di rum ra
bbrividisce l’oppio antico nei piatti s
i fa luce e dallo specchio scendono g
iovani senza denaro vorranno da me la
mia bocca la mia voce perché io dica
per tutti che è finita la macabra sto
ria degli usurpati dell’eden mi dico
no che è venuta la loro ora di cherubi
ni il fuoco fiorisce tra le mie dita
il gelo chiama nelle mie vene la grande
estate amorosa ronzano sotto la sfera
di cristallo delle biblioteche i moto
ri allegri delle primavere

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Il foglio (secco come un indù) bianco
è la finestra aperta sulla rugiada
della mia immaginazione:
le parole ‘dentro’ muoiono
e vivo nelle cose.
Il mio pensiero


è Acqua


è la corrente trasparente del silenzio,
la mandorla spianata che si sprigiona
dal suo involucro naturale e
si traspone in forme simultanee
per volatilizzarsi nella concretezza.

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la turgidezza del sesso occidentale decresce in una fontana di sperma grafico
non basta una fontana in ristampa per annoverarsi fra i grandi seduttori della storia
corrono le piccole formiche a versare il proprio sangue nella vasca comune
i pesci rifiutano di flirtare con le cloache
gli uccelli negano il proprio volo alle pattumiere sfondate
i cappelli a visiera affondati sulla fronte
gli ultimi proletari comprano bigliettini da visita
per impostare il proprio saluto ai supermarket


con un braccio liberai la scrivania dai libri. mi stesi nudo sul patibolo. il boia era in vacanza e così potei aspettare che la rugiada deponesse la sua tovaglia di campanule e di api sulla pianura. un serpente solare affondò la coda nelle acque inquiete

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quando avrà un nome l’arresto del vortice
prodigioso
quando avrà sangue il mare d’argento
quando la morte saprà chi ha portato via nelle
sue ceste incestuose
allora nudo come un albero correrò nel vento
per sapere dove porta la via inesistente
per rispondere alla sfinge il nonsenso dell’esistenza
per tacere ai piccoli confessori di miserie
il mio contegno di erede di fallimenti
(ho scagliato nella forra la mia corona di ferro
e prigioniero di un orizzonte infernale
so che la mia vita è la più breve)
quando il colore dei tuoi occhi sarà il nulla
quando le grandi speranze saranno imbalsamate come i cammelli
quando il rumore dei tuoi passi
romperà l’esilio dell’uccello di fuoco
quando sulle strade il tuo nome sarà la vittoria
allora potrò venire anch’io con la mia
vanità di ripetente
l’aldiqua sarà una rosa disserrata a festa
e non ci sarà bisogno di ricordi per sentirci eterni
la conchiglia misteriosa da sempre cercata
avrà per lo sguardo indiscreto dell’uomo
la sua perla in metamorfosi perpetua
quando le parole avranno un’eco nei cuori
quando la neve sarà un bosco in fiore
quando
quando gli occhi delle ragazze
porteranno in vasi di porcellana i loro fragili
fianchi
quando i bambini mentiranno per uccidere dio
quando i ciechi sentiranno cantare il buio
quando la proprietà privata sarà un’orrida leggenda
quando il marchese Sade verrà a piantare
la sua bandiera sulle prigioni
quando Aragon avrà tinto di nero la sua bandiera
rossa
quando Bunuel filmerà il s. padre crocifisso
al banco della simonia celeste
quando Max Ernst dipingerà per tutti le sue
visioni dettati dall’estasi
quando Eluard avrà finalmente ragione
quando Tzara non dovrà più mendicare aggressioni
quando Tanguy Peret Crevel Char Jacques V. Picabia
e gli altri ragazzi
firmeranno il manifesto della rivoluzione indolore
quando la canaglia che fa professione rivoluzionaria saprà salutare la bellezza
facendo predominare il principio del piacere sul principio della realtà
quando non ci sarà più bisogno di rimpiangere André










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