sabato 19 dicembre 2009

“Presentimenti” letti da T. Kemeny il giorno 17.XII.2009, alla Casa della Poesia di Milano, in occasione dell’evento Kaleidoscope in cui il grande pianista Antonio Ballista ha eseguito musiche di Rameau, Poulenc, Satie, Rossini e altri alternandosi alle letture poetiche di Milo De Angelis, Tomaso Kemeny, Vivian Lamarque, Giancarlo Majorino, Roberto Mussapi e Antonio Riccardi.

Presentimenti in dodici frammenti e un’ouverture
per Antonio Ballista


Ouverture
L’uomo contemporaneo
non ritrova l’albero della vita
e in esilio non toglie
il velo dal volto della morte.

Incendiando l’immaginazione dell’uomo
la donna cattura
la colomba nascosta
nel bosco dell’amore

Inseguendosi
l’uomo e la donna
scoprono parole
vive nel cristallo del ghiaccio
e seminano nel vento
l’esultanza dell’acqua
per giungere alle stelle.


1.
La mano del pianista
il silenzio trascolora

Il colore
nello specchio
in ogni sillaba
infranto,
s’appanna

La mano del pianista
tende all’infinito

ma oltre la nostalgia
dell’immagine sonora
assoluta
non approda

2.
anche in tempi di carestia
meteore della bellezza impossibile
scuotono la chioma

la nuda solitudine
è radiosa
tra leonesse
pietrificate
senza pudore

3. In silenzio le Muse
giocano alla mosca cieca
oltre le nubi di fuoco

Ma sono le Sirene
a incantare il marinaio
inavvertitamente fuori dal mondo
sulla nave bianca della Luna
dal desiderio scarnita
e a un filo della memoria

oltre le cortine del giorno
appesa

4.
Se la terra è chiusa
al meraviglioso
il pianista
con una mano ora solleva
le saracinesche
al di là della cortina
di tenebra

L’altra mano
si scatena immersa
nella criniera di leoni
nonstop.

5.
A nulla serve
ribellarsi :


i suoni cadono
come mosche
sui Venerdì Santi
o come sciabolate
sulle orecchie

quando non è
Antonio Ballista
al piano

6.
Nello sguardo delle Pleiadi
tra i succulenti frutti della vita
e i sudari della morte
si leggono presentimenti
d’infinito
se in un frammento
di poesia
la musica alla musica
si riannoda


6. bis
Frammento di poesia
sei senza fondamento
se subito alla musica
non ti riannodi.

7.

Sul pentagramma
del cielo di Milano

tra le nuvole
prendere la forma
dell’Aeolian arp
di Henry Cowell

scoprire poi
tracce del Ballabile
di Emmanuel Chabrier

tra i duri sogni
delle case di pietra
frammento interminato,
hai sapore di tempesta…
….
8.
Qui nei “presentimenti”
il nome inciso
s’invigorisce
fino al midollo-ritmico.


9.
Oltre le bambagie del sincopato,
il pianista
indossa una maschera
di nuvole bianche
e sogna germi del futuro
in musica
rendendo demoniaco
il nucleo del tempo post-umano


10.
“Dopo di noi non c’è nulla…
nemmeno il nulla,
che già sarebbe qualcosa”.
Quest’idea frulla
scema come una rosa invisibile
nella mente
del Conte di Kevenhuller;
per lui si evoca l’ancheggio
di un’ancella cresciuta
nell’orgia e nella deboscia
che con sale e pepe scroscia
nel vicolo allegro
il tempo scandito da timpani,
glockenspiel, xilofono,
tam tam, grancasse, campanacci
intervallati da piatti,
nacchere, fruste, martelli,
due arpe, archi e celesta
ma prima che la visione sia spenta
esigo un sorbetto alla menta.

11.
Tenero, negletto universo
dei timbrici impasti-
sorride
sotto le dita dionisiache del pianista
nello stupore di percezioni
virginee, e paradossalmente
cristalline.

Tenero, paradossale universo
degli impasti timbrici-
a infinita distanza
spazio/temporale
dalle ore, giorni e anni
prosasticamente
sbranati dai cani.

12.
Non il caos
ma la mostruosità
dell’informe
si arrende
a un raggio di bellezza
ora che il ritmo
segna i limiti
di un cosmo
sulla mappa
di questa notte
indimenticabile.

martedì 8 dicembre 2009

Roberto Rusconi: "Exur 17!"

Video art - Earth and Water 1

http://www.youtube.com/watch?v=Ek3BRbA9iSU

LA MASCHERA E IL RITUALE: TOMASO KEMENY

In RECITATIVI ROSSO PORPORA [1], la raccolta poetica che Tomaso Kemeny ha pubblicato nel 1989, una nota avverte che le "poesie […] raccolte (1965-1987) hanno in comune il fatto di derivare da "immagini auditive", da voci mentali, spesso dialogiche, di cui sono il libero sviluppo. Ma già in QUALITÀ DI TEMPO [2] uscito nel 1981, una nota raccontava un sogno dal quale sembra scaturire l'opera:

"Sognai di morire. Salii i cieli e giunsi in un castello di luce. Nascosto dietro un arazzo della sala centrale, intravidi un trono vuoto e vicino ad esso Mozart, Einstein, Beethoven, Rossini. Tra i presenti notai Ugo Foscolo che pareva discutere animatamente con un lattaio vestito di nero e senza volto. La mia collocazione definitiva fu in cucina. Pelavo patate".

Nel sogno l'io del sognatore intravede Adriano Spatola e riconosce anche altri poeti contemporanei. Sembra dunque trattenersi o essere trattenuto in cucina nella modesta veste di aiuto cuoco finché un giorno - continua a raccontare il sogno - non passò in cucina Foscolo e quando lo vide lo "obbligò a seguirlo in uno spiazzo di acciaio e cristallo illuminato da una sfera incandescente: cson voce imperiosa mi impose di comporre due serie di poesie. I testi dovevano essere quattordici in tutto" [3].

Proprio il sogno sembra mettere in evidenza che il bisogno di opporsi al "tradimento quotidiano" con i mezzi trasgressivi dell'avanguardia non deve significare adattamento a una modesta occupazione come il gesto di pelare patate. Il fatto di spostarsi dalla cucina alla sala d'acciaio e cristallo accompagnato da Foscolo sembrerebbe indicare che la ribellione dell'avanguardia deve trasformarsi nella missione del poeta civile. E il morire dell'inizio del sogno segna una nuova fase della vita in cui è necessario cambiare completamente atteggiamento rispetto a quello precedente.

Ma anche i saggi di critica letteraria, L'ARTE DI NON MORIRE [4], sono preceduti da un'introduzione in forma di favola: vi si racconta l'incontro col gemello immortale cui il gemello mortale deve lasciare spazio: "Il gemello, ombra mortale, libera il campo affinché quello immortale possa entra in questa…". Il racconto si interrompe e Kemeny aggiunge che la parola mancante dovrebbe essere "vita". Il primo saggio della raccolta è intitolato significativamente NELL'AURORA DEL DORMIVEGLIA e si fa riferimento a una memoria subliminare, quella appunto del dormiveglia, che lascia affiorare versi e ricordi.

In LA TRANSILVANIA LIBERATA, l'opera più recente che Tomaso Kemeny dedica alla sua patria magiara, il sottoltitolo, annunciando che si tratta di un poema "epiconirico", una "favola onirica" [5], sottolinea di nuovo tale natura e ripropone una modalità di composizione e di ispirazione che appartiene anche alle opere precedenti dell'autore. Tutta l'opera di Kemeny, anche quella del critico letterario, è dunque percorsa da un bisogno improrogabile di dar spazio al sogno, alla fiaba mitologica, ai sogni ad occhi aperti per entrare in contatto con una dimensione, quella del sogno e dell'inconscio, la sola che permetta di combattere proprio quel "tradimento quotidiano" di fronte al quale i mezzi dell'avanguardia appaiono al poeta troppo limitati.

In RECITATIVI ROSSO PORPORA, nell'unica poesia, a parere di Fulvio Papi [6], che enunci una dimensione di poetica nell'opera dell'autore, si chiarisce con un simbolo che riguarda il tempo quale sia il tradimento: si tratta di un orologio a cucù, un oggetto troppo grosso e ridicolo per essere portato nel taschino e che sostituisce il più borghese e conforme orologio a catena: "toglietelo dal taschino l'orologio a cucù / del tradimento quotidiano".

Secondo Papi l'orologio a cucù starebbe a indicare che il "tradimento quotidiano" è consumato "con una puerile e grossolana estetizzazione, con un gioco sciocco che dona belletti alla durezza delle cose […]. Il tradimento lo si respira nell'aria, distribuisce identità e compiacenze in uno sfiguramento del dono della vita. L'io proprietario, dice ancora lo studioso, è anche colui che detiene tempo, memoria, tradizione, enunciazione, significati: per il quale il mondo è ordinato in una definitiva deprivazione" [7]. C'è dunque il rifiuto d'un'identità borghese ordinata e scandita dal tempo dell'orologio a cucù, o dell'orologio a catena, e insieme la percezione dei limiti dell'atteggiamento a questo puramente antagonista, di un antiborghesismo di rottura e di critica, di un semplice rifiuto dell'inaccettabile realtà esterna, come se fosse l'unica dimensione dell'esistente.

Nel saggio citato prima, analizzando i versi finali di L'UNION LIBRE di Andrè Breton, Kemeny scrive:

"Il procedimento surreale manifesta l'incantesimo convulso della "meravigliosa metamorfosi" che celebra l'impossibilità di una sintesi configurante. I "semi figurativi", selezionati da campi semantici lontanissimi, si esaltano in una serie di contenuti irriducibili a una semantica che non sia immaginaria" [8].

Con Breton si sottolinea dunque la possibilità di trasformazione e di metamorfosi raggiunta grazie alla forza delle immagini interiori e alle capacità dell'immaginazione e più avanti, facendo riferimento a Dylan Thomas, si ribadisce che non solo è impossibile la conciliazione degli opposti ma che "l'irriducibile rischio del loro contrasto permanente" dà vita a immagini originarie, unica voce in cui risuonano mondi molteplici. Proprio questi due esempi rivelano come non basti opporre all'unilateralità della visione borghese la visione contraria, all'ordine il disordine, al conformismo l'anticonformismo. C'è invece una necessità di andare oltre che sembra legarsi strettamente in Kemeny, come vedremo subito, alle proprie vicende biografiche e a spingerlo a porre in primo piano la ricerca di una più vasta identità in cui, come emerge con sempre più chiarezza, il canto della bellezza appare legato al recupero delle proprie origini. Kemeny è nato in Ungheria ed è arrivato in Italia a sette anni, bambino profugo che ha già alle spalle la morte del proprio padre naturale e la fuga precipitosa del padre adottivo.

Giuseppe Conte [9] ha messo l'accento sulle diverse vesti in cui Tomaso Kemeny appare: l'intellettuale, il poeta italiano pronto alla bizzarria e al paradosso, ma anche l'ungherese discendente degli antichi nomadi che dopo aver razziato l'Asia sino all'Europa si fermarono come popolo stanziale in Transilvania. Ma Conte ha anche indicato il nucleo conflittuale della biografia del poeta: ancora ragazzino, negli anni della Seconda guerra mondiale, Tomaso Kemeny arrivò in Italia a causa della grande tragedia dell'Est europeo; dopo essere entrato in Transilvania come liberatore, il padre era morto sul Fronte russo combattendo per l'Asse. Il padre adottivo, invece, socialdemocratico e pacifista, e durante la guerra prigioniero in un campo di concentramento, "con una presa di posizione coerente e coraggiosa", come sottolinea Conte, aveva rifiutato il posto che gli era stato offerto dal governo insediatosi dopo l'arrivo dell'Armata russa: "Così l'uomo che aveva conosciuto il campo di concentramento delle autorità ungheresi filofasciste, rischiò di conoscere quelli delle nuove autorità comuniste. Ma, avvertito in tempo, il Venerdì Santo del 1947 fuggì precipitosamente in Italia, aggregandosi come finto massaggiatore alla squadra di calcio. Il ragazzino Tomaso, di sette anni, si ritrovò in un campo profughi vicino a Napoli, cominciò a giocare con gli scugnizzi, vide il suo primo film italiano, TOTÒ AL GIRO D'ITALIA, si innamorò della nostra lingua".

La dura esperienza dell'infanzia lo aveva portato al confronto con due padri che avevano aderito a due ideologie diverse e opposte, i quali tragicamente e paradossalmente erano stati stati messi in pericolo di vita da opposte ideologie. La necessità di denunciare il "tradimento quotidiano" ha dunque soprattutto a che fare con un'avversione profondissima nei confronti di un'ideologia "esterna" cui ubbidire, su cui fondare la propria identià come atto di fede verso una dimensione non scaturita dall'io. Di qui un gioco di mascheramenti, smascheramenti, e travestimenti, non solo la figura di Don Giovanni e quella di Attila, del seduttore e del guerriero, ma di tante altre maschere. Come sottolinea Isabella Vicentini, c'è sempre in Kemeny un aspetto che va oltre tutti i mascheramenti [10]: lo vede infatti come esperto dei ferri del mestiere, come strano e autonomo sperimentatore affine all'avanguardia, oppure come "scardinatore ilare e festoso, barocco e surreale; virtuoso, brutalizzatore della sintassi, sbeffeggiatore energico e passionale, dissacratore fiabesco, biblico ed erotico; burlesco ed enigmatico costruttore di altezze messe alla berlina, di frantumazioni e silenzi, assenze e sospensioni, forme distorte e ricostruite, paradossi, ellissi, ferite e suture". Nonostante Kemeny sia "avveduto e smaliziato", conclude la studiosa, Kemeny "ha saputo non nascondersi dietro i suoi abili ferri del mestiere ma, con quella spoliazione necessaria al poeta, mostrare un'anima stupefatta".

La ricerca come fonte di vita della parte più profonda di sé, della camera d'acciaio e di cristallo, è insieme tensione verso il centro in cui poter sempre "rincasare" e in cui le ferite vengono non solo curate ma guarite come emerge da PICCOLO SALTERIO MITOMODERNISTA IN 7 TEMPI del Natale 2002:

"Sono pervenuto in una reverie senza fine:
le porte si sono chiuse come ferite completamente guarite,
le finestre non si ricordavano d'essersi spalancate
se non nel mio cervello per adorare la natura
e il letto è divenuto una pianura selvaggia
e lo sgabello serviva da trono
per il deretano del clandestino
inebriato di assoluto
e io servo Titania la regina delle Fate
e muto la mia solitudine
nell'orgia spirituale
più intensa dai tempi di S. Teresa D'Avila".

Proprio questo punto d'arrivo mostra come il poeta sia riuscito a realizzare quella premessa che aveva affidato a una citazione di Giuseppe Pontiggia: "occupare il centro, muovere tutti i pezzi a questo fine, sapendo sempre che l'altro è più importante".

Che cosa sia l'Altro è detto con perentoria autorità direttamente dalla musa in PAROLE DELLA MUSA:

"La velocità cancella i contorni
e il teschio e la rosa
segnano sulla retina la smorfia
a divorare il pensiero in schegge
e l'inferno s'invigorisce
e il coro degli angeli balbetta
strofe insensate. La marea delle ore in gabbia sfida
in vortici sempre più intensi
i disegni della natura
e il futuro si smarrisce in incubi virtuali.
Tu hai un unico dovere,
quello di sempre, non lo scordare:
porta le parole a sprigionare
il canto della terra
che ruota in un sogno di bellezza immortale".

L'approdo in anni recenti al Mitomodernismo è adesione a un'arte non annientata dalla distruzione cui il pericoloso quotidiano ha sottoposto la natura tentando di sottometterla e di sfregiarla privandola della bellezza, tentando di eliminarne ogni traccia di sacralità. Oggi che la sfida sembra questa, Kemeny la raccoglie con un nuovo travestimento e con una nuova più profonda identità, quella dello sciamano intento a compiere un irrinunciabile e non più rimandabile rituale propiziatorio.


[1] T. Kemeny, RECITATIVI ROSSO PORPORA, Udine, Campanotto.
[2] T. Kemeny, QUALITÀ DI TEMPO, Parma, Guanda, 1981. IL LIBRO DELL'ANGELO, Parma, Guanda, 1991.
[3] Ibidem, p. 81.
[4] T. Kemeny, L'ARTE DI NON MORIRE. INTERVENTI DI POETICA E SAGGI DI ANGLISTICA, Udine, Campanotto, 2000.
[5] T. Kemeny, LA TRANSILVANIA LIBERATA. POEMA EPICONIRICO, Milano, Effigie, 2005.
[6] F. Papi, LA RIPETIZIONE CREATIVA, in "I Quaderni del battello ebbro", 14-15-16 giugno 1995, p. 57.
[7] Ibidem, p. 58.
[8] T. Kemeny, L'ARTE DI NON MORIRE, cit., p. 16.
[9] G. Conte, "Il Giornale", 19-6-2005.
[10] I. Vicentini, AL CENTRO DELLA LUCE, in "I Quaderni del battello ebbro", cit.

[Rossana Dedola]

DIALOGO libri intervista a Tomaso Kemeny

Tomaso Kemeny:
poeta italiano di Budapest
Milano, 31 marzo 2001 ore 11



Con un’espressione un po’ sperduta poiché s’era dimenticato del nostro appuntamento, Tomaso mi fa sedere togliendo libri e qualche briciola della colazione, sul divano del salotto

Ho letto un suo studio sul poeta lord Byron che inizia con la orgogliosa frase di Orazio a conclusione delle Odi "Non omnis moriar"; cosa non morirà Tomaso dei suoi lavori, come poeta, dei suoi studi, come ricercatore e docente universitario a Pavia di lingua e letteratura inglese?

Tomaso Kemeny (nato a Budapest nel 1939 e trasferitosi a Milano nel 1948, dopo esser sfuggito con la famiglia al colpo di stato russo contro i socialisti che aveva costretto all’espatrio il suo secondo padre, un pacifista, e dopo la permanenza in un campo di profughi presso Bagnoli) risponde ridendo: "Io spererei che rimanessero anche le poesie che ho scritto da ragazzo (compongo da quando avevo dodici anni… anche se il mio primo libro "Il guanto del sicario", uscito in due lingue fu pubblicato per volontà di un amico di New York nel 1976… Ho abitato alcuni anni a Chicago ma poi preferii l’Italia e la sua cultura). Mi piacerebbe restasse proprio la prima poesia in memoria di mio padre caduto in Russia. Cominciava così: "Morì combattendo…" Ma non ho dedicato cure a ricostruire il tutto.. spero che lo faccia qualcuno quando io non ci sarò. Sono disordinato, scrivo di continuo e non penso mai a ciò che rimane ma a ciò che desidero che sia. E butto via molto. Non sono un piccolo risparmiatore di sperma, come dice un mio caro amico; io non risparmio nemmeno l’alito. La mia poesia è molto vicina alla vita, sarà difficile che sopravviva quando io non ci sarò.

Io penso sempre a quello che farò domani e mi dimentico dell’ieri.

Ma dato che siamo mortali, spero che ci sia un mondo che abbia un minimo d’interesse per una poesia vitale come la mia."

La sua poesia è carica anche di sensualità.

Ma perché allora "La rima non scalda" come recita il titolo della plaquette per Dialogolibri? Per lord Byron lo scrivere poesie era un ripiego alla passione patriottica.

"Per me la poesia significa moltissimo; senza di essa la vita non avrebbe un confine e una profondità. Non ritengo la poesia un artigianato per quanto ne possieda un aspetto: si devono conoscere le regole delle composizioni; però penso sia anche una sorta di magia in cui le parole che sono del tutto insensate e servono per ingannare il prossimo finalmente assumono un aspetto di verità. Mentre penso che il mondo politico e il mondo economico come tutto il mondo umano siano basati sulla retorica dell’aver ragione a tutti i costi, la poesia riconosce che l’uomo ha sempre torto davanti alla bellezza assoluta e quindi alla verità.

Byron ha un io titanico che si misura col mondo romanticamente . Io, che sono una piccolissima goccia di questo mare, non sento questa forza in me, ma nella tradizione poetica.

Sono così forse l’ultimo pazzo che crede nella magia della parola che trasmuta l’insensato vuoto della vita . Che differenza c’è tra bugia e poesia? La menzogna è una maschera con la quale diciamo ciò che vorremmo, la poesia non dice ciò che vorrebbe ma ciò che s’intuisce come vero.Oggi tutti dicono che la verità non esiste, che tutto è relativo. Così poco alla volta decostruiscono l’Io divenendo i rappresentanti di commercio del proprio interesse: fingono che l’Io non ci sia per far degli affari. Invece l’Io c’è , ma se si toglie l’aspetto estetico rimane un io pratico. La poesia è inutile nel senso migliore del termine; non serve ad agire ma ad essere. E’ dunque un fatto metafisico, e nel disperato silenzio di oggi la parola è ancora più importante della passione. Prometeo che strappò il fuoco agli dei ha strappato loro anche la parola che è il dono più grande."

Un silenzio rumoroso quello di oggi…In questo periodo di confusione nel quale le Muse spaventate si ritraggono, la parola vera del poeta ha un futuro?

"Contrariamente a Marinetti che della velocità ha fatto un mito, io vorrei inventare il ‘rallentometro’. Questa originalità a tutti i costi del moderno, andrebbe sostituita invece da un ritorno alla origini. Tutti corrono e non hanno nulla da dire..il poeta ha troppo da dire e soffoca…deve rallentare per limare…oggi la poesia è fondamentale come la pittura che ‘blocca’ tutto…Il nuovo Mito deve essere costituito dalla poesia come Parola Rallentata. La misura assoluta non è la velocità ma l’Eternità che non ha inizio né fine. Poiché a noi l’eternità è preclusa almeno permettiamoci di esser lenti. Creiamo una scuola di Lentezza. La società oggi vuole cancellare gli opposti: giovane/vecchio e veloce/lento comicamente diventano giovane/veloce. Togliere il gioco degli opposti ci fa essere degli automi mal riusciti.

La poesia deve anche insegnare l’inconciliabilità degli opposti e l’anticonformismo. Presso gli artisti americani nasce ora il mito del Post-Umano: si vuole essere solo brutti anzi orrendi. E’ una ribellione al mito della velocità questo preferir esser dei mostri.

Io invece vorrei ritornar alle meraviglie di Venere, alla sua bellezza."

Nella sua poesia mi sembra si avverta il contrasto a proposito di bellezza muliebre tra la donna in senso neo-classico come ispiratrice e la donna nella sua sensualità.

"Sì è un mistero. La traccia della divinità dell’universo è nella bellezza: c’è nella mente umana il desiderio del cosmo, cioè di un’unità. Invece nel nostro modo di vivere c’è l’opposto: frammentazione, molteplicità di linguaggi, di atteggiamenti, di maschere…io ho l’illusione che in ogni errore di stampa ci sia il mistero della seduzione femminile .. ma per non impazzire -dice ridendo- è bene anche avere un piccolo rapporto erotico...per disinnescare l’esplosivo… Quando Petrarca scriveva ‘…morte parea bella nel suo bel viso…più che neve bianca…’ riferendosi a Laura, intuisce che c’è qualcosa di sublime nella bellezza femminile. Che poi ci sia davvero è secondario, ma la morte che è la cosa più brutta si rovescia e diventa bella nel volto di lei. Nella mia miserabile poesia invece il sacro è proprio nel corpo non nell’idea, perché nel corpo della donna è l’idea, forse l’unica che non marcisce. Chi non è donna percepisce questa idea come fuori da sé e per quanto un uomo possa amare una donna non la possiederà mai perché c’è sempre qualcosa in lei che va al di là’ e ciò è poesia e va tradotto e detto allora col ritmo. La bellezza femminile è il sogno dell’unità del cosmo, per un uomo."

L’unità del cosmo dunque non è in Dio né in nessun dio dei miti.

"Il Cristianesimo e il Buddismo elevano molto lo spirito ma per me il corpo della donna è il tempio e la donna è l’incarnazione, è il dio. Spero naturalmente anche che la donna abbia bisogno di un uomo –sorride- anche se ciò non è più poesia. Ho sempre pensato che i poeti hanno inventato dio, che Mosè fosse un poeta.

Così per Mozart e Beethoven e in Dante al di là della componente religiosa si sente una potenza sacra.

Il protestante Byron aveva detto che l’amore poiché finisce è sempre una cacciata dall’Eden. Per me invece l’Eden è ovunque nasca il miracolo di una reciproca visione dell’unità, quando due esseri anche dello stesso sesso si sentono complementari, ciò è sacro.

Così i sensi non sono che le finestre sull’universo e il sacro non ha nulla a che spartire con la velocità".

La sua poesia è anche epica.

Sì ho scritto un poema epico "La Transilvania liberata" che uscirà a settembre.

L’epica nacque in me come esigenza organica quando persi mia madre che mi amava molto anche se litigavamo tanto, unico contatto con le mie origini. Lei mi cantava queste musiche della Transilvania ungherese (tolta, essa che ne era il cuore, all’Ungheria nel 1920) dove ella era nata e dove nacquero il grande poeta Endre e pure Bela Bartok, musicista.

Quando scomparve ho sentito io il dovere di cantarle -Tomaso si commuove - se pur in una lingua d’acquisto. A livello quasi sciamanico poiché nell’epica bisogna spossessarsi dell’io, ho allora scritto questi 12 canti non in modo libresco ma ascoltando i miei ricordi.

Sto traducendoli ora in ungherese ma…il problema è che non sono cattolico… e l’Ungheria deve molto al Papa! In essi l’Ungheria è vista come L’Agnus Dei, crocifissa, è un Cristo, ma c’è anche il dio Sole: la mia è terra pagana con tradizioni antecedenti l’anno mille anche orientali. Son state cancellate ma io le sento nel sangue, anche se a livello di rapporto sociale condivido ovviamente il cristianesimo.Tuttavia la bellezza è pagana . Il bello è ovunque nelle cose mentre per la tradizione ebraico-cristiana in esse vi è solo una traccia della bellezza del Dio inarrivabile.

Persino in Dante si sente questo contrasto tra teologia e arte. Ecco perché per Platone i poeti mentono e vanno cacciati: vedono il bello nelle cose mentre è solo nel mondo delle idee. Al contrario di Sofocle. La poesia è un’arte terrificante in contrasto sia con la filosofia che con la religione.

Ecco io vorrei per tornare all’inizio, che restasse di me questa capacità di non rimandare a domani l’utopia e il sogno ma di scorgerli nella realtà che anzi sono vero sogno e utopia. Bisogna saper sognare a occhi aperti che è una posizione estetizzante ma non astratta nemmeno dal bere un bicchier di vino."

I poeti sono folli come il suo adorato e citato Tasso

" C’è una follia che è ovviamente malattia. I poeti in realtà sono i medici della cultura. La follia è nella storia, nei politici. La follia dei poeti è l’immaginazione che è l’unica forma di saggezza rimasta. Ed è verità che va oltre i sensi e l’intelletto. I poeti son stravaganti nei dettagli pratici perché metton tutte le energie nell’occhio mentale che è quello che vede la verità"

L’intervista è finita : Tomaso con la sua voce simile a un’acqua sotterranea sussurrante mi ricorda con stupore e orgoglio che durante il conferimento di un premio a Parigi fu chiamato "poeta italiano".
Ci salutiamo mentre sua moglie,una donna dolcissima, che è tornata dalla spesa si scusa per il disordine.

Anna M. Simm

lunedì 7 dicembre 2009

Casa della Poesia, Palazzina Liberty, Largo Marinai d'Italia 1, Milano - ingresso libero

martedì 15 dicembre 2009 ore 21
Ezra Pound : un grande poeta europeo
a cura di Tomaso Kemeny



Si offre una rilettura dell’opera del poeta che nei suoi versi custodisce “il sublime nel senso antico”, giustamente definito da T.S.Eliot come “il miglior fabbro del parlar materno”, essendo E.P., come il trovatore Arnaldo Daniello, da Dante cantato nel Canto XXVI del Purgatorio, reinventore del linguaggio poetico attraverso procedure prosodico-orchestranti che sintetizzano il verso greco e latino, fondato sulla quantità, con quello inglese sillabico e basato sull’accento e la rima. Padre fondatore del modernismo non solo europeo, riconosciuto maestro da scrittori come Ernest Hemingway, poeti come W.B. Yeats , Williams Carlos Williams e Charles Olson, ispiratore, a volte occulto delle neo-avanguardie e di molte forme di espressione poetica anche extra-verbale e voco-visuale, Pound mirò a fondere, problematicamente, il mito (orizzontale) del nostos omerico con il ritorno (verticale) dantesco allo”…amor che muove il sole e le altre stelle”. Il tragico fallimento della sua impresa conferisce un’intensità profetica alle crisi di possibili civiltà post-umane. James Joyce lo definì “wonderworker”, “produttore di prodigi” perché nei suoi Cantos liberò l’epica dalle strutture narrative, sostituendole con immagini ristrutturabili in ideogrammi o costellazioni semantiche. Il poema è attraversato da leitmotiv come “The temple is holy/because it is not for sale” (“Il tempio è sacro/ perchè non è in vendita”) di grande potenza formativa e da tracce di un’energia spirituale incomparabile.

La lettura di passi scelti dai Cantos verrà accompagnata dall’arpa di Federica Sainaghi.