venerdì 13 novembre 2009

The Hired Killer’s Glove – Il Guanto del Sicario (Out of London Press, New York 1976, testo italiano tradotto dall’autore):

“la mano macella non solo la rima,
acconcia la carta al godimento, se i ricordi
scottano la penna mascherando l’orgasmo
restituito nel gocciolone alla carta sorbente;
arrivano le nuotatrici col disordine organizzato
secondo gli accenti annodati nell’occhio;
il verso sbarrato non riproduce le mammelle
attraverso il risucchio acquisito sul foglio”

Dal saggio di Nanni Cagnone, Il guanto del sicario (Marcatre, Enneesse ed, Roma, 2 agosto, 1976)

“Il meraviglioso è già stato. Si proviene appunto da qui, con totale mancanza di innocenza, andando attraverso sospiri alle inadempienze del senso. Nella poesia di Kemeny, il corpo repertoriale, accademico, scrocca incantesimi alla goffaggine del luogo comune, espone sontuose feste in biblioteca, sprofonda dal sonno nei fatti con finto stupore, si aggira perplesso in luttuosi musei simbolici e cita l’eros offrendogli specchi senza ritegno…Sulla soglia lampeggiante dell’onirico, Kemeny intrattiene un melodramma voluttuoso, grande tenore alle prese con l’insana proverbialità - colpi di tosse e scricchiolii - e l’inesorabile splendore del genere poetico… Kemeny rivela per accanite maschere la perversa semanticità del reale, mentre per la sua riluttante visione dispiega un enorme apparato scenico ma subito in funzione astrattiva, rendendone elusiva la verosomiglianza.”

Da Roberto Carifi “T. Kemeny, lo sguardo nell’abisso” in Il gesto di Callicle, saggio sulla nuova poesia, Milano, Società di Poesia, 1982:

“Per parlare del lavoro poetico di Tomaso Kemeny occorre partire da quella raccolta indimenticabile che è Il guanto del sicario (New York, 1976), un’opera che, oltre a rappresentare un momento decisivo nel panorama della nuova poesia, si presenta fortemente indicativa di temi e contenuti di cui gli ultimi testi di Kemeny costituiscono un coerente sviluppo…Il decentramento dell’Io che abbiamo indicato come un fenomeno generalizzato della nuova poesia, diviene in Kemeny il gesto che assegna ad un fondo senza fondo la matrice abissale di una soggettività esposta alla violenza del precipizio. È qui sui bordi del “non pensiero” che il soggetto del cogito, il soggetto cartesiano, vacilla: si fa “vacante”, avrebbe detto Artaud, vuoto, come il lacaniano non-réalisé, e forse vagante, nomadica erranza ai bordi del Discorso…Il viaggio erotico si manifesta come tragico-gioioso affondare nell’eccesso di una notte dove il naufragio del nome proprio è anche epifania dello straniante, fino allo stordimento…come in Bataille e Artaud la crepa del femminile è il nero che domanda di venire attraversato per approdare al mistero, all’alchimia della notte…e la ricerca dell’Uno-Tutto è anche la consapevolezza che l’Angelo sia metafora di un’impossibile ricongiunzione all’Altro, ma anche la spietata e crudele apologia dello spossessamento, della consunzione delle eterne categorie di soggetto e oggetto e l’eros diviene la follia di una discesa empedoclea nel cratere al femminile…”

T. Kemeny già il 27 maggio del 1982 ha indicato come oggetto ultimo e primo della ricerca “la bellezza”. Si veda “Residui di esperienza: il concetto di bellezza”( in L’Altro Versante, rivista di poetica e di poesia, Rimini, Maggioli Editore, 1982): “È vero che Platone afferma che i poeti sanno di non sapere, cosa che non accade ai filosofi…ma la ricerca in sé e per sé mi pare che possa diventare un alibi per l’inconcludenza, oggi. È ovvio, l’attività di ricerca è implicita a qualsiasi risultato artistico. Ma non si regredisca al gioco infantile della “ricerca per la ricerca”, dove non conta l’oggetto che si insegue, ma si è devoti all’inseguimento istituzionalizzato…Brutalmente, chi ricerca senza “sentire” il fantasma di ciò che gli manca e/o manca al mondo, con maggior profitto potrebbe dedicarsi alle parole incrociate. I “poeti” di qualche valore tendono a lavorare sul Testo che desiderano leggere per intero, ma che nessuno è stato ancora in grado di rendere compiuto. Ciò che è necessario cercare, necessario come l’aria, l’acqua e la terra e il fuoco è “la bellezza”. La tradizione “deviante” delle avanguardie storiche e delle neo-avanguardie, ci lascia un’eredità di tale e evidente e incompiuta bellezza (“tempora mutantur,et nos mutamur in illis”), che non c’è più tempo da perdere…

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