lunedì 16 novembre 2009
Don Giovanni innamorato (Es, Biblioteca dell’eros, Milano, 2003)
Giuseppe Conte da "Un Don Giovanni ‘Porno’ e lirico", il Giornale, 13 aprile 2003:
“Credo che possa venire salutata come un vero e proprio caso letterario la pubblicazione del primo romanzo di Tomaso Kemeny. Sinora l’autore si era applicato con risultati di prim’ordine alla poesia, alla traduzione e alla critica letteraria come grande anglista, docente all’Università di Pavia. Il Kemeny poeta ha attraversato diverse fasi procedendo coerentemente da presupposti legati al Surrealismo verso esiti di rilevante presa lirica, metaforica e visionaria, mettendo via via a fuoco una sua poetica del Sublime e della Bellezza, e dando un contributo generoso alla nascita del movimento Mitomodernista. In questo romanzo il linguaggio è crudo, e sfiora quello del genere porno. Il lettore si prepari a un cibo molto piccante, a un cocktail molto alcolico: c’è una vera orgia di termini gergali della sfera sessuale. A mio parere è stata una scelta coraggiosa e franca. Ne viene sottolineata la dirompente forza comica, ma non so come non parodistica. Don Giovanni, come forse l’autore, e come forse qualcuno di noi, è convinto che la lussuria sia il più bel dono di Dio. Alla fine però il registro cambia. Attraverso il regno oscuro della carne separata dallo spirito, del coito separato dall’amore, Don Giovanni scopre il potere sublimante dell’innamoramento. Dopo essere stato il Don Giovanni gaudente e falstaffiano, capace di ogni astuta laidezza, diventa il Don Giovanni innamorato del titolo. Nelle pagine del suo diario anche il registro stilistico cambia: e vi troviamo tracce di un lirismo sublime. La metamorfosi finale di Don Giovanni è una sorpresa che non voglio svelare, connessa con l’enigma del rapporto tra arte, il sesso e il grande amore. Io ho riso a crepapelle leggendo le prime cento pagine di questo libro. Poi ho avuto un soprassalto: il finale getta una luce nuova su tutto. E si capisce che Tomaso Kemeny, l’aristocratico trasnsilvano, il poeta, il mitomodernista ci ha messo di fronte a una allegoria che, parlandoci di eros, ci parla del più profondo, angoscioso e felice mistero della nostra esistenza.
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