giovedì 16 maggio 2013

Tomaso Kemeny La poesia è viva (e alimenta la vita) Giuseppe Conte - giugno 2012 Per nostra fortuna di lettori, esistono ancora libri di poesia che ci comunicano un fortissimo senso di vitalità e di gioia. Sono rari, e per questo i benvenuti, da festeggiare. E da festeggiare oggi c’è un libro come questo appena uscito di Tomaso Kemeny, illustre anglista e protagonista delle vicende poetiche degli ultimi decenni, intitolato Poemetto gastronomico e altri nutrimenti (Jaca Book, pagg.146, euro 13). Il testo che dà il titolo al volume, che in apparenza ha l’aria di una performance virtuosistica e stravagante, è in realtà un monumento all’idea di poesia del mitomodernismo, il movimento lanciato anni fa proprio sulle colonne di questo giornale e di cui Kemeny è un interprete decisivo. Kemeny, che con il suo La Transilvania liberata, onirico e utopico, è diventato un ispiratore anche politico del risveglio nazionale nel paese d’origine dei suoi avi, l’Ungheria, qui tocca tasti e toni diversi, festosi, ebbri, dionisiaci, e si consacra alla celebrazione della civiltà italiana, in particolare della sua musica, del suo vino e della sua cucina. In lui si risveglia Dioniso, con l’allegria del Bacco in Toscana di Francesco Redi, ma con la voce di Gioacchino Rossini, una originalissima voce poetica fatta di note acute e gravi, di romanze e cabalette, che prepara: «spaghetti con mozzarella/ riunendoli in una padella/ alla salsa di pomodoro» e da lì tutta una serie di ghiottonerie. Insieme a Dioniso, ispirano il poeta Eros e Demetra che offre «maccheroni con le sarde, per la gioia/ delle maliarde, lasagne al prosciutto/ a chi patisce un recente/ lutto». Il poeta, leggero «come mongolfiera» chiama a raccolta i vini insieme ai cibi, e sfilano nei versi Barolo e Sciacchetrà, Vernaccia a Valpolicella, Frascati e Greco di Gerace. Mai la poesia italiana contemporanea si era abbandonata a ritmi più orgiastici e scatenati. Il resto del volume contiene poesie sparse, di non minore intensità e novità. Kemeny si stringe ai suoi maestri, da Byron (da lui magistralmente tradotto) a Foscolo sino a quelli novecenteschi, Breton e Joyce, ed evoca l’ombra di Henry Miller, che la cultura tetra e perbenista di oggi sembra avere rimosso. Troviamo canti corali sul ritorno della Primavera, poesie di amore cosmico come quella dall’attacco bellissimo: «Ai primi fremiti dell’aurora/ ti bacio e il mondo s’infiora», versi sobriamente commossi dedicati agli affetti familiari, alla moglie Luisetta, ai figli Giorgio e Alessandra. Kemeny abbraccia davvero l’universo, in questo libro, con una varietà e ricchezza di stili che lascia ammirati. E questo poeta così attratto dalle superfici fisiche, sensuali della vita, così radicalmente laico e trasgressivo, così carico di una ironia giocosa che non cancella nessun entusiasmo vitale, è capace di innalzare una preghiera come questa: «Vieni tu che sei incorporeo e sei tutti i corpi/ vieni gloria inespressa di tutte le cose/ non abbandonare la terra alla desolazione/ sii la porta di tutte le nostre aurore».

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