martedì 24 gennaio 2012

Il bello dell'Italia

Il bello dell'Italia - articolo pubblicato ne "Il Caffè" - Il giorno - 23 gennaio 2012

«Il sacrificio della patria è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia»: è un Ugo Foscolo vibrante d’amor patrio deluso, dopo il trattato di Campoformio, a scrivere questo passo famoso nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis. Ma le sue parole risuonano profetiche in un’Italia sempre da costruire, in questo malinconico inverno, postumo dei 150 anni dall’Unità, che vede un Paese scioccato e confuso, in crisi economica ma soprattutto d’identità. Dove la parola “cultura” viene pronunciata quasi solo in relazione ai tagli della medesima, mentre improbabili mitologie padane o neoborboniche spadroneggiano nell’immaginario collettivo.
Ossessionati dallo spread e dalle tasse del governo Monti, dimentichiamo volentieri che, caso forse unico al mondo, l’unità d’Italia fu un’ardua scommessa basata sulla lingua e la cultura prima ancora che sull’economia o la politica: difficilmente le valutazioni negative di un’agenzia di rating avrebbero fermato Garibaldi e i suoi Mille. Di sicuro, fatte le debite proporzioni, non hanno accorciato i sogni di quella appassionata banda di poeti, scrittori e artisti, capitanati da Tomaso Kemeny, che il 17 marzo dell’anno scorso a Recanati celebrarono nel segno di Leopardi l’anniversario dell’Unità occupando simbolicamente il Colle dell’Infinito.
Il risultato di quell’happening estetico-patriottico (di cui il QN diede ampia notizia) è ora approdato a un volume curato dallo stesso Kemeny per le edizioni Arcipelago: L’Italia unita nella Bellezza- 17 marzo 1861/17 marzo 2011, che raccoglie con un ricco corredo fotografico gli interventi e le testimonianze di quella giornata campale: «Smettiamo di lusingare con la passività i gusti più bassi di un popolo dalle tradizioni esemplari» perora Kemeny, indicando nella Bellezza il fondamento d’una civiltà futura.
Pura illusione ? Ma è questo il bello: senza le utopie dei poeti, la nostra idea dell’Italia non esisterebbe. Lo testimoniano le sudate carte scandagliate da Maria Antonietta Grignani nel Fondo manoscritti dell’Università di Pavia, di cui è curatrice. Ne è nata nei mesi scorsi la mostra Raccontare l’Italia unita (catalogo Interlinea),radiografia del contributo degli uomini di penna alla nostra contrastiva identità. Dall’Italia pre-unitaria di Foscolo si arriva al secondo Novecento passando per Verga e Capuana, D’Annunzio e gli irredentisti triestini, Eugenio Montale e Mino Maccari, la Seconda guerra mondiale e la Resistenza. Si risale fino ai giorni nostri, attraverso il Menabò vittoriniano,la letteratura industriale, Pasolini e il pianeta Gadda. Ma il vero collante unitario rimane il Pinocchio di Carlo Collodi,ovvero la storia d’un burattino bugiardo.
Ammettiamolo:siamo un popolo di mentitori, che finisce spesso per credere alle proprie menzogne. Evadiamo dal senso della storia perfino più agilmente che dalle tagliole del fisco. Solo quei bugiardi di professione che sono gli scrittori, eredi naturali di Pinocchio, sono forse in grado di dirci la verità su noi stessi.

Roberto Barbolini

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