In RECITATIVI ROSSO PORPORA [1], la raccolta poetica che Tomaso Kemeny ha pubblicato nel 1989, una nota avverte che le "poesie […] raccolte (1965-1987) hanno in comune il fatto di derivare da "immagini auditive", da voci mentali, spesso dialogiche, di cui sono il libero sviluppo. Ma già in QUALITÀ DI TEMPO [2] uscito nel 1981, una nota raccontava un sogno dal quale sembra scaturire l'opera:
"Sognai di morire. Salii i cieli e giunsi in un castello di luce. Nascosto dietro un arazzo della sala centrale, intravidi un trono vuoto e vicino ad esso Mozart, Einstein, Beethoven, Rossini. Tra i presenti notai Ugo Foscolo che pareva discutere animatamente con un lattaio vestito di nero e senza volto. La mia collocazione definitiva fu in cucina. Pelavo patate".
Nel sogno l'io del sognatore intravede Adriano Spatola e riconosce anche altri poeti contemporanei. Sembra dunque trattenersi o essere trattenuto in cucina nella modesta veste di aiuto cuoco finché un giorno - continua a raccontare il sogno - non passò in cucina Foscolo e quando lo vide lo "obbligò a seguirlo in uno spiazzo di acciaio e cristallo illuminato da una sfera incandescente: cson voce imperiosa mi impose di comporre due serie di poesie. I testi dovevano essere quattordici in tutto" [3].
Proprio il sogno sembra mettere in evidenza che il bisogno di opporsi al "tradimento quotidiano" con i mezzi trasgressivi dell'avanguardia non deve significare adattamento a una modesta occupazione come il gesto di pelare patate. Il fatto di spostarsi dalla cucina alla sala d'acciaio e cristallo accompagnato da Foscolo sembrerebbe indicare che la ribellione dell'avanguardia deve trasformarsi nella missione del poeta civile. E il morire dell'inizio del sogno segna una nuova fase della vita in cui è necessario cambiare completamente atteggiamento rispetto a quello precedente.
Ma anche i saggi di critica letteraria, L'ARTE DI NON MORIRE [4], sono preceduti da un'introduzione in forma di favola: vi si racconta l'incontro col gemello immortale cui il gemello mortale deve lasciare spazio: "Il gemello, ombra mortale, libera il campo affinché quello immortale possa entra in questa…". Il racconto si interrompe e Kemeny aggiunge che la parola mancante dovrebbe essere "vita". Il primo saggio della raccolta è intitolato significativamente NELL'AURORA DEL DORMIVEGLIA e si fa riferimento a una memoria subliminare, quella appunto del dormiveglia, che lascia affiorare versi e ricordi.
In LA TRANSILVANIA LIBERATA, l'opera più recente che Tomaso Kemeny dedica alla sua patria magiara, il sottoltitolo, annunciando che si tratta di un poema "epiconirico", una "favola onirica" [5], sottolinea di nuovo tale natura e ripropone una modalità di composizione e di ispirazione che appartiene anche alle opere precedenti dell'autore. Tutta l'opera di Kemeny, anche quella del critico letterario, è dunque percorsa da un bisogno improrogabile di dar spazio al sogno, alla fiaba mitologica, ai sogni ad occhi aperti per entrare in contatto con una dimensione, quella del sogno e dell'inconscio, la sola che permetta di combattere proprio quel "tradimento quotidiano" di fronte al quale i mezzi dell'avanguardia appaiono al poeta troppo limitati.
In RECITATIVI ROSSO PORPORA, nell'unica poesia, a parere di Fulvio Papi [6], che enunci una dimensione di poetica nell'opera dell'autore, si chiarisce con un simbolo che riguarda il tempo quale sia il tradimento: si tratta di un orologio a cucù, un oggetto troppo grosso e ridicolo per essere portato nel taschino e che sostituisce il più borghese e conforme orologio a catena: "toglietelo dal taschino l'orologio a cucù / del tradimento quotidiano".
Secondo Papi l'orologio a cucù starebbe a indicare che il "tradimento quotidiano" è consumato "con una puerile e grossolana estetizzazione, con un gioco sciocco che dona belletti alla durezza delle cose […]. Il tradimento lo si respira nell'aria, distribuisce identità e compiacenze in uno sfiguramento del dono della vita. L'io proprietario, dice ancora lo studioso, è anche colui che detiene tempo, memoria, tradizione, enunciazione, significati: per il quale il mondo è ordinato in una definitiva deprivazione" [7]. C'è dunque il rifiuto d'un'identità borghese ordinata e scandita dal tempo dell'orologio a cucù, o dell'orologio a catena, e insieme la percezione dei limiti dell'atteggiamento a questo puramente antagonista, di un antiborghesismo di rottura e di critica, di un semplice rifiuto dell'inaccettabile realtà esterna, come se fosse l'unica dimensione dell'esistente.
Nel saggio citato prima, analizzando i versi finali di L'UNION LIBRE di Andrè Breton, Kemeny scrive:
"Il procedimento surreale manifesta l'incantesimo convulso della "meravigliosa metamorfosi" che celebra l'impossibilità di una sintesi configurante. I "semi figurativi", selezionati da campi semantici lontanissimi, si esaltano in una serie di contenuti irriducibili a una semantica che non sia immaginaria" [8].
Con Breton si sottolinea dunque la possibilità di trasformazione e di metamorfosi raggiunta grazie alla forza delle immagini interiori e alle capacità dell'immaginazione e più avanti, facendo riferimento a Dylan Thomas, si ribadisce che non solo è impossibile la conciliazione degli opposti ma che "l'irriducibile rischio del loro contrasto permanente" dà vita a immagini originarie, unica voce in cui risuonano mondi molteplici. Proprio questi due esempi rivelano come non basti opporre all'unilateralità della visione borghese la visione contraria, all'ordine il disordine, al conformismo l'anticonformismo. C'è invece una necessità di andare oltre che sembra legarsi strettamente in Kemeny, come vedremo subito, alle proprie vicende biografiche e a spingerlo a porre in primo piano la ricerca di una più vasta identità in cui, come emerge con sempre più chiarezza, il canto della bellezza appare legato al recupero delle proprie origini. Kemeny è nato in Ungheria ed è arrivato in Italia a sette anni, bambino profugo che ha già alle spalle la morte del proprio padre naturale e la fuga precipitosa del padre adottivo.
Giuseppe Conte [9] ha messo l'accento sulle diverse vesti in cui Tomaso Kemeny appare: l'intellettuale, il poeta italiano pronto alla bizzarria e al paradosso, ma anche l'ungherese discendente degli antichi nomadi che dopo aver razziato l'Asia sino all'Europa si fermarono come popolo stanziale in Transilvania. Ma Conte ha anche indicato il nucleo conflittuale della biografia del poeta: ancora ragazzino, negli anni della Seconda guerra mondiale, Tomaso Kemeny arrivò in Italia a causa della grande tragedia dell'Est europeo; dopo essere entrato in Transilvania come liberatore, il padre era morto sul Fronte russo combattendo per l'Asse. Il padre adottivo, invece, socialdemocratico e pacifista, e durante la guerra prigioniero in un campo di concentramento, "con una presa di posizione coerente e coraggiosa", come sottolinea Conte, aveva rifiutato il posto che gli era stato offerto dal governo insediatosi dopo l'arrivo dell'Armata russa: "Così l'uomo che aveva conosciuto il campo di concentramento delle autorità ungheresi filofasciste, rischiò di conoscere quelli delle nuove autorità comuniste. Ma, avvertito in tempo, il Venerdì Santo del 1947 fuggì precipitosamente in Italia, aggregandosi come finto massaggiatore alla squadra di calcio. Il ragazzino Tomaso, di sette anni, si ritrovò in un campo profughi vicino a Napoli, cominciò a giocare con gli scugnizzi, vide il suo primo film italiano, TOTÒ AL GIRO D'ITALIA, si innamorò della nostra lingua".
La dura esperienza dell'infanzia lo aveva portato al confronto con due padri che avevano aderito a due ideologie diverse e opposte, i quali tragicamente e paradossalmente erano stati stati messi in pericolo di vita da opposte ideologie. La necessità di denunciare il "tradimento quotidiano" ha dunque soprattutto a che fare con un'avversione profondissima nei confronti di un'ideologia "esterna" cui ubbidire, su cui fondare la propria identià come atto di fede verso una dimensione non scaturita dall'io. Di qui un gioco di mascheramenti, smascheramenti, e travestimenti, non solo la figura di Don Giovanni e quella di Attila, del seduttore e del guerriero, ma di tante altre maschere. Come sottolinea Isabella Vicentini, c'è sempre in Kemeny un aspetto che va oltre tutti i mascheramenti [10]: lo vede infatti come esperto dei ferri del mestiere, come strano e autonomo sperimentatore affine all'avanguardia, oppure come "scardinatore ilare e festoso, barocco e surreale; virtuoso, brutalizzatore della sintassi, sbeffeggiatore energico e passionale, dissacratore fiabesco, biblico ed erotico; burlesco ed enigmatico costruttore di altezze messe alla berlina, di frantumazioni e silenzi, assenze e sospensioni, forme distorte e ricostruite, paradossi, ellissi, ferite e suture". Nonostante Kemeny sia "avveduto e smaliziato", conclude la studiosa, Kemeny "ha saputo non nascondersi dietro i suoi abili ferri del mestiere ma, con quella spoliazione necessaria al poeta, mostrare un'anima stupefatta".
La ricerca come fonte di vita della parte più profonda di sé, della camera d'acciaio e di cristallo, è insieme tensione verso il centro in cui poter sempre "rincasare" e in cui le ferite vengono non solo curate ma guarite come emerge da PICCOLO SALTERIO MITOMODERNISTA IN 7 TEMPI del Natale 2002:
"Sono pervenuto in una reverie senza fine:
le porte si sono chiuse come ferite completamente guarite,
le finestre non si ricordavano d'essersi spalancate
se non nel mio cervello per adorare la natura
e il letto è divenuto una pianura selvaggia
e lo sgabello serviva da trono
per il deretano del clandestino
inebriato di assoluto
e io servo Titania la regina delle Fate
e muto la mia solitudine
nell'orgia spirituale
più intensa dai tempi di S. Teresa D'Avila".
Proprio questo punto d'arrivo mostra come il poeta sia riuscito a realizzare quella premessa che aveva affidato a una citazione di Giuseppe Pontiggia: "occupare il centro, muovere tutti i pezzi a questo fine, sapendo sempre che l'altro è più importante".
Che cosa sia l'Altro è detto con perentoria autorità direttamente dalla musa in PAROLE DELLA MUSA:
"La velocità cancella i contorni
e il teschio e la rosa
segnano sulla retina la smorfia
a divorare il pensiero in schegge
e l'inferno s'invigorisce
e il coro degli angeli balbetta
strofe insensate. La marea delle ore in gabbia sfida
in vortici sempre più intensi
i disegni della natura
e il futuro si smarrisce in incubi virtuali.
Tu hai un unico dovere,
quello di sempre, non lo scordare:
porta le parole a sprigionare
il canto della terra
che ruota in un sogno di bellezza immortale".
L'approdo in anni recenti al Mitomodernismo è adesione a un'arte non annientata dalla distruzione cui il pericoloso quotidiano ha sottoposto la natura tentando di sottometterla e di sfregiarla privandola della bellezza, tentando di eliminarne ogni traccia di sacralità. Oggi che la sfida sembra questa, Kemeny la raccoglie con un nuovo travestimento e con una nuova più profonda identità, quella dello sciamano intento a compiere un irrinunciabile e non più rimandabile rituale propiziatorio.
[1] T. Kemeny, RECITATIVI ROSSO PORPORA, Udine, Campanotto.
[2] T. Kemeny, QUALITÀ DI TEMPO, Parma, Guanda, 1981. IL LIBRO DELL'ANGELO, Parma, Guanda, 1991.
[3] Ibidem, p. 81.
[4] T. Kemeny, L'ARTE DI NON MORIRE. INTERVENTI DI POETICA E SAGGI DI ANGLISTICA, Udine, Campanotto, 2000.
[5] T. Kemeny, LA TRANSILVANIA LIBERATA. POEMA EPICONIRICO, Milano, Effigie, 2005.
[6] F. Papi, LA RIPETIZIONE CREATIVA, in "I Quaderni del battello ebbro", 14-15-16 giugno 1995, p. 57.
[7] Ibidem, p. 58.
[8] T. Kemeny, L'ARTE DI NON MORIRE, cit., p. 16.
[9] G. Conte, "Il Giornale", 19-6-2005.
[10] I. Vicentini, AL CENTRO DELLA LUCE, in "I Quaderni del battello ebbro", cit.
[Rossana Dedola]
martedì 8 dicembre 2009
LA MASCHERA E IL RITUALE: TOMASO KEMENY
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