martedì 8 dicembre 2009

DIALOGO libri intervista a Tomaso Kemeny

Tomaso Kemeny:
poeta italiano di Budapest
Milano, 31 marzo 2001 ore 11



Con un’espressione un po’ sperduta poiché s’era dimenticato del nostro appuntamento, Tomaso mi fa sedere togliendo libri e qualche briciola della colazione, sul divano del salotto

Ho letto un suo studio sul poeta lord Byron che inizia con la orgogliosa frase di Orazio a conclusione delle Odi "Non omnis moriar"; cosa non morirà Tomaso dei suoi lavori, come poeta, dei suoi studi, come ricercatore e docente universitario a Pavia di lingua e letteratura inglese?

Tomaso Kemeny (nato a Budapest nel 1939 e trasferitosi a Milano nel 1948, dopo esser sfuggito con la famiglia al colpo di stato russo contro i socialisti che aveva costretto all’espatrio il suo secondo padre, un pacifista, e dopo la permanenza in un campo di profughi presso Bagnoli) risponde ridendo: "Io spererei che rimanessero anche le poesie che ho scritto da ragazzo (compongo da quando avevo dodici anni… anche se il mio primo libro "Il guanto del sicario", uscito in due lingue fu pubblicato per volontà di un amico di New York nel 1976… Ho abitato alcuni anni a Chicago ma poi preferii l’Italia e la sua cultura). Mi piacerebbe restasse proprio la prima poesia in memoria di mio padre caduto in Russia. Cominciava così: "Morì combattendo…" Ma non ho dedicato cure a ricostruire il tutto.. spero che lo faccia qualcuno quando io non ci sarò. Sono disordinato, scrivo di continuo e non penso mai a ciò che rimane ma a ciò che desidero che sia. E butto via molto. Non sono un piccolo risparmiatore di sperma, come dice un mio caro amico; io non risparmio nemmeno l’alito. La mia poesia è molto vicina alla vita, sarà difficile che sopravviva quando io non ci sarò.

Io penso sempre a quello che farò domani e mi dimentico dell’ieri.

Ma dato che siamo mortali, spero che ci sia un mondo che abbia un minimo d’interesse per una poesia vitale come la mia."

La sua poesia è carica anche di sensualità.

Ma perché allora "La rima non scalda" come recita il titolo della plaquette per Dialogolibri? Per lord Byron lo scrivere poesie era un ripiego alla passione patriottica.

"Per me la poesia significa moltissimo; senza di essa la vita non avrebbe un confine e una profondità. Non ritengo la poesia un artigianato per quanto ne possieda un aspetto: si devono conoscere le regole delle composizioni; però penso sia anche una sorta di magia in cui le parole che sono del tutto insensate e servono per ingannare il prossimo finalmente assumono un aspetto di verità. Mentre penso che il mondo politico e il mondo economico come tutto il mondo umano siano basati sulla retorica dell’aver ragione a tutti i costi, la poesia riconosce che l’uomo ha sempre torto davanti alla bellezza assoluta e quindi alla verità.

Byron ha un io titanico che si misura col mondo romanticamente . Io, che sono una piccolissima goccia di questo mare, non sento questa forza in me, ma nella tradizione poetica.

Sono così forse l’ultimo pazzo che crede nella magia della parola che trasmuta l’insensato vuoto della vita . Che differenza c’è tra bugia e poesia? La menzogna è una maschera con la quale diciamo ciò che vorremmo, la poesia non dice ciò che vorrebbe ma ciò che s’intuisce come vero.Oggi tutti dicono che la verità non esiste, che tutto è relativo. Così poco alla volta decostruiscono l’Io divenendo i rappresentanti di commercio del proprio interesse: fingono che l’Io non ci sia per far degli affari. Invece l’Io c’è , ma se si toglie l’aspetto estetico rimane un io pratico. La poesia è inutile nel senso migliore del termine; non serve ad agire ma ad essere. E’ dunque un fatto metafisico, e nel disperato silenzio di oggi la parola è ancora più importante della passione. Prometeo che strappò il fuoco agli dei ha strappato loro anche la parola che è il dono più grande."

Un silenzio rumoroso quello di oggi…In questo periodo di confusione nel quale le Muse spaventate si ritraggono, la parola vera del poeta ha un futuro?

"Contrariamente a Marinetti che della velocità ha fatto un mito, io vorrei inventare il ‘rallentometro’. Questa originalità a tutti i costi del moderno, andrebbe sostituita invece da un ritorno alla origini. Tutti corrono e non hanno nulla da dire..il poeta ha troppo da dire e soffoca…deve rallentare per limare…oggi la poesia è fondamentale come la pittura che ‘blocca’ tutto…Il nuovo Mito deve essere costituito dalla poesia come Parola Rallentata. La misura assoluta non è la velocità ma l’Eternità che non ha inizio né fine. Poiché a noi l’eternità è preclusa almeno permettiamoci di esser lenti. Creiamo una scuola di Lentezza. La società oggi vuole cancellare gli opposti: giovane/vecchio e veloce/lento comicamente diventano giovane/veloce. Togliere il gioco degli opposti ci fa essere degli automi mal riusciti.

La poesia deve anche insegnare l’inconciliabilità degli opposti e l’anticonformismo. Presso gli artisti americani nasce ora il mito del Post-Umano: si vuole essere solo brutti anzi orrendi. E’ una ribellione al mito della velocità questo preferir esser dei mostri.

Io invece vorrei ritornar alle meraviglie di Venere, alla sua bellezza."

Nella sua poesia mi sembra si avverta il contrasto a proposito di bellezza muliebre tra la donna in senso neo-classico come ispiratrice e la donna nella sua sensualità.

"Sì è un mistero. La traccia della divinità dell’universo è nella bellezza: c’è nella mente umana il desiderio del cosmo, cioè di un’unità. Invece nel nostro modo di vivere c’è l’opposto: frammentazione, molteplicità di linguaggi, di atteggiamenti, di maschere…io ho l’illusione che in ogni errore di stampa ci sia il mistero della seduzione femminile .. ma per non impazzire -dice ridendo- è bene anche avere un piccolo rapporto erotico...per disinnescare l’esplosivo… Quando Petrarca scriveva ‘…morte parea bella nel suo bel viso…più che neve bianca…’ riferendosi a Laura, intuisce che c’è qualcosa di sublime nella bellezza femminile. Che poi ci sia davvero è secondario, ma la morte che è la cosa più brutta si rovescia e diventa bella nel volto di lei. Nella mia miserabile poesia invece il sacro è proprio nel corpo non nell’idea, perché nel corpo della donna è l’idea, forse l’unica che non marcisce. Chi non è donna percepisce questa idea come fuori da sé e per quanto un uomo possa amare una donna non la possiederà mai perché c’è sempre qualcosa in lei che va al di là’ e ciò è poesia e va tradotto e detto allora col ritmo. La bellezza femminile è il sogno dell’unità del cosmo, per un uomo."

L’unità del cosmo dunque non è in Dio né in nessun dio dei miti.

"Il Cristianesimo e il Buddismo elevano molto lo spirito ma per me il corpo della donna è il tempio e la donna è l’incarnazione, è il dio. Spero naturalmente anche che la donna abbia bisogno di un uomo –sorride- anche se ciò non è più poesia. Ho sempre pensato che i poeti hanno inventato dio, che Mosè fosse un poeta.

Così per Mozart e Beethoven e in Dante al di là della componente religiosa si sente una potenza sacra.

Il protestante Byron aveva detto che l’amore poiché finisce è sempre una cacciata dall’Eden. Per me invece l’Eden è ovunque nasca il miracolo di una reciproca visione dell’unità, quando due esseri anche dello stesso sesso si sentono complementari, ciò è sacro.

Così i sensi non sono che le finestre sull’universo e il sacro non ha nulla a che spartire con la velocità".

La sua poesia è anche epica.

Sì ho scritto un poema epico "La Transilvania liberata" che uscirà a settembre.

L’epica nacque in me come esigenza organica quando persi mia madre che mi amava molto anche se litigavamo tanto, unico contatto con le mie origini. Lei mi cantava queste musiche della Transilvania ungherese (tolta, essa che ne era il cuore, all’Ungheria nel 1920) dove ella era nata e dove nacquero il grande poeta Endre e pure Bela Bartok, musicista.

Quando scomparve ho sentito io il dovere di cantarle -Tomaso si commuove - se pur in una lingua d’acquisto. A livello quasi sciamanico poiché nell’epica bisogna spossessarsi dell’io, ho allora scritto questi 12 canti non in modo libresco ma ascoltando i miei ricordi.

Sto traducendoli ora in ungherese ma…il problema è che non sono cattolico… e l’Ungheria deve molto al Papa! In essi l’Ungheria è vista come L’Agnus Dei, crocifissa, è un Cristo, ma c’è anche il dio Sole: la mia è terra pagana con tradizioni antecedenti l’anno mille anche orientali. Son state cancellate ma io le sento nel sangue, anche se a livello di rapporto sociale condivido ovviamente il cristianesimo.Tuttavia la bellezza è pagana . Il bello è ovunque nelle cose mentre per la tradizione ebraico-cristiana in esse vi è solo una traccia della bellezza del Dio inarrivabile.

Persino in Dante si sente questo contrasto tra teologia e arte. Ecco perché per Platone i poeti mentono e vanno cacciati: vedono il bello nelle cose mentre è solo nel mondo delle idee. Al contrario di Sofocle. La poesia è un’arte terrificante in contrasto sia con la filosofia che con la religione.

Ecco io vorrei per tornare all’inizio, che restasse di me questa capacità di non rimandare a domani l’utopia e il sogno ma di scorgerli nella realtà che anzi sono vero sogno e utopia. Bisogna saper sognare a occhi aperti che è una posizione estetizzante ma non astratta nemmeno dal bere un bicchier di vino."

I poeti sono folli come il suo adorato e citato Tasso

" C’è una follia che è ovviamente malattia. I poeti in realtà sono i medici della cultura. La follia è nella storia, nei politici. La follia dei poeti è l’immaginazione che è l’unica forma di saggezza rimasta. Ed è verità che va oltre i sensi e l’intelletto. I poeti son stravaganti nei dettagli pratici perché metton tutte le energie nell’occhio mentale che è quello che vede la verità"

L’intervista è finita : Tomaso con la sua voce simile a un’acqua sotterranea sussurrante mi ricorda con stupore e orgoglio che durante il conferimento di un premio a Parigi fu chiamato "poeta italiano".
Ci salutiamo mentre sua moglie,una donna dolcissima, che è tornata dalla spesa si scusa per il disordine.

Anna M. Simm

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